Padova. Torture democratiche

da Umanità Nova, n.38, anno 92, dicembre 2012

Lunedì 26 novembre il maresciallo Claudio Segata, l’appuntato Daniele Berton e il carabiniere Giovanni Viola hanno patteggiato nel processo che li vedeva accusati di sequestro di persona e violenza privata. L’inchiesta era partita con la morte di Abderrahman Salhi, un ventiquattrenne di origine marocchina ritrovato privo di vita nelle acqua del fiume Frassine presso Montagnana (Padova). Durante il processo è emerso che era abitudine dei militari prelevare le persone segnalate come ubriachi molesti e “rinfrescargli le idee” nelle acque gelate del fiume. Le vittime di questa tortura erano sopratutto persone di origine straniera. Salhi era stato prelevato da Segata e Viola durante la “Festa del Prosciutto”. Di lui non si erano più avute notizie per nove giorni, fino al 24 maggio 2010, quando era stato ritrovato morto. L’autopsia ha appurato che la morte del giovane è avvenuta per una caduta accidentale nel fiume avvenuta alcuni giorni dopo al “trattamento speciale” ad opera dei gloriosi militi ma ha anche portato alla luce la pratica a cui questi erano avvezzi grazie alla testimonianza di altre vittime di questa tortura vera e propria. Segata e Viola hanno patteggiato rispettivamente due anni e un anno e dieci mesi (con pena sospesa) per concorso in sequestro di persona e violenza privata mentre Berton ha patteggiato trecento euro di multa per non aver denunciato le pratiche portate avanti dai colleghi. L’appuntato scelto Canazza, anche lui accusato di omessa denuncia, invece ha deciso di andare a processo regolare e di non patteggiare. L’avere indosso una divisa equivale spesso a sentirsi non solo intoccabili ma provvede anche ad un’auto-legittimazione nel ruolo di “giustiziere” e non serve aver studiato a Stanford per capirlo: basta osservare la cronaca. Questi fatti non sono un eccesso frutto della mente malata e sadica di qualche “mela marcia” ma sono la naturale e ovvia conseguenza dell’aver consegnato il monopolio della forza nelle mani dello stato e dei suoi sgherri. La retorica delle mele marce non regge più di fronte a tutti i casi in cui membri delle forze dell’ordine torturano, ammazzano, stuprano, pestano persone più o meno colpevoli o innocenti. Non serve fare qua un elenco delle centinaia di persone ammazzate negli ultimi decenni da queste “mele marce” che non sono altro che il frutto marcio dell’albero marcescente dell’autoritarismo.

Gert dal Pozzo

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